In data 1 giugno 2010 è entrato in vigore il Regolamento della Commissione europea n. 330 del 20 aprile 2010 sugli “accordi verticali”. Come è noto, il contratto di franchising è disciplinato in tutta Europa, e di conseguenza anche in Italia, dal Regolamento sugli accordi verticali (il Regolamento in questione sostituisce il Regolamento n. 2790/1999).
Abbiamo quindi chiesto al Prof. Avv. Aldo Frignani, massimo esperto in Italia degli aspetti legali del franchising, di trasmetterci un nota riassuntiva dei risvolti di maggior interesse per il mondo del franchising.
Una prima rilevante novità del Regolamento UE 330/10 riguarda la nozione di know-how “sostanziale”, che nel Regolamento 2790/1999 comprendeva le “conoscenze indispensabili” all’acquirente per la vendita e rivendita dei beni e servizi, mentre nel nuovo Regolamento sono sufficienti le “conoscenze significative e utili”. Il cambiamento non è di poco conto perché spesso nel franchising ci si domandava se veramente c’erano delle conoscenze indispensabili. La nuova formulazione è maggiormente rispondente alle esigenze del mondo del franchising.
Una seconda novità riguarda i prezzi di rivendita. Uno dei problemi che agitavano il mondo del franchising infatti era quello della impossibilità per il franchisor di fissare il prezzo di rivendita (c.d. Resale Price Maintenance - RPM). Su questo punto la lettera del Regolamento nuovo non è cambiata, però una certa apertura si trova nelle nuove Linee direttrici le quali, pur continuando ad inquadrare l’RPM come una restrizione fondamentale, affermano che “a volte l’imposizione di prezzi di rivendita non ha soltanto l’effetto di limitare la concorrenza, ma può anche condurre a incrementi di efficienza”.
Un terzo punto di interesse riguarda l’e-commerce, ossia le vendite realizzate attraverso Internet. Le Linee direttrici ribadiscono che le vendite tramite Internet non possono essere legittimamente limitate o escluse qualora esse siano delle “vendite passive”, ossia quelle vendite che si realizzano per il semplice fatto di avere un sito internet attraverso il quale il cliente (ovunque esso si trovi) ha conosciuto e acquistato il prodotto; le Linee direttrici proseguono poi però affermando che in certe circostanze l’uso di Internet può costituire una “vendita attiva” e, quindi, può legittimamente essere vietata al distributore (intendendosi per vendite attive quelle vendite indirizzate specificamente ai territori o a gruppi di clienti esclusivi di altri distributori ad esempio per mezzo di banner che mostrino un collegamento territoriale su siti Internet di terzi. In linea generale, gli sforzi compiuti per essere reperiti specificamente in un determinato territorio o da un determinato gruppo di clienti costituisce una vendita attiva in tale territorio o a tale gruppo di clienti. Il pagamento di un compenso ad un motore di ricerca o ad un provider pubblicitario on-line affinché vengano presentate inserzioni pubblicitarie specificamente agli utenti situati in un particolare territorio rappresentano una vendita attiva in tale territorio).
Una novità delle Linee direttrici su tale tema è rappresentata dalla previsione di possibili legittime limitazioni imposte al distributore basate su “standards qualitativi” per l’uso del sito internet, che siano in consonanza con l’uniformità della rete (Tuttavia, nel quadro dell’esenzione per categoria il fornitore può esigere il rispetto di standard qualitativi in relazione all’uso di siti Internet per la rivendita dei suoi beni così come può farlo in relazione ad un punto vendita o alla vendita su catalogo o all’attività pubblicitaria e promozionale in generale).
Infine, un ultimo punto di interesse è dato dalla novità introdotta dalle nuove Linee direttrici in merito al calcolo della soglia basata sulla quota rilevante (30%) ai fini dell’applicazione o meno del Regolamento. Tale soglia deve ora essere verificata tenendo conto non solo della quota di mercato detenuta dal fornitore ma anche di quella detenuta dal distributore.
Prof. Avv. Aldo Frignani
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