Si moltiplicano i canali di vendita che applicano sconti sui prezzi di listino. E i saldi diventano la risposta alla crisi, ma non solo
L’estate è appena cominciata e, puntuali come sempre,
arrivano i saldi. Due mesi e mezzo di prezzi ribassati che si
ripetono due volte l’anno, per un totale di cinque mesi durante i
quali ci si potrà vestire con le migliori griffe, ma anche con
quelle più casual, spendendo in media il 30% in meno. Con evidenti
vantaggi per i consumatori, che vedono accrescere il proprio potere
d’acquisto, ma anche per le boutique, considerato che in periodi di
crisi come quello attuale sono proprio le spese in abbigliamento,
accessori e calzature quelle più penalizzate.
Secondo le previsioni dell’Ufficio studi della Confcommercio, in
questa ondata di saldi estivi si spenderanno circa 3,6 miliardi di
euro, per una spesa a famiglia di 240 euro, che salgono a 430 in
una capitale della moda come Milano. Milanesi che,
complessivamente, spenderanno circa 380 milioni.
Tuttavia sarebbe sbagliato vedere i saldi solamente come una
reazione alla crisi. “Il saldo, così come le varie forme di sconti
e promozioni, è la risposta delle boutique al fenomeno crescente e
di grande successo degli outlet”, dice Sandro Castaldo, ordinario
di economia e gestione delle imprese all’Università Bocconi e
direttore dell’Area marketing della Sda, “è una vera e propria
strategia dei punti vendita, paragonabile a fenomeni, in altri
settori, come il 3x2 e simili”.
Premesso che, come conferma lo stesso Castaldo, “non sempre i saldi
sono veri affari ma spesso i negozianti, contravvenendo alla legge,
ne approfittano per inserirvi l’invenduto degli anni precedenti”,
in realtà la vera partita si gioca tra i differenti canali
distributivi presenti sul mercato, che dovrebbero osservare regole
diverse ma che in realtà tendono spesso a sovrapporsi.
“Gli outlet ad esempio”, spiega ancora il professore della Bocconi,
“ a fronte di sconti intorno al 30%, non dovrebbero però vendere
prodotti della stagione in corso, ma visto il grande successo che
stanno registrando spesso accade che le aziende realizzino
produzioni ad hoc, diverse da quelle poi vendute nelle
boutique”.
Boutique che, anche nel caso dei monomarca, possono a loro volta
essere gestite direttamente dalla griffe oppure date in
franchising: “E questo determina strategie di vendita differenti,
poiché le boutique in franchising sono solite applicare politiche
commerciali diverse da quelle della griffe, molto aggressive sul
lato dei prezzi, mentre quelle di proprietà, sempre meno e sempre
più radicate in alcune zone di altissimo prestigio delle più
importanti città, gestiscono in saldi con rigore maniacale”.
Un panorama complessivamente confuso, nel quale risulta difficile
capire quale sia il prezzo reale di un prodotto di abbigliamento,
tanto che sono sempre più le associazioni di commercianti locali
che si sono date regole deontologiche chiare a tutela di
consumatori confusi e alla ricerca di un “affare” che spesso si
rivela meno vantaggioso di quanto promesso.
Davide Ripamonti
http://www.viasarfatti25.unibocconi.it