Continuiamo il nostro viaggio all'interno del momento strettamente “esecutivo” del contratto di franchising, per verificare la effettiva valenza di un altro strumento sovente sottovalutato, anche dalle parti: il business plan.
Tale documento costituisce una proiezione pro futuro delle aspettative del franchising network, che deve basarsi su dati reali, e su realistiche valutazioni degli stessi, finalizzate a determinare con un ragionevole grado di approssimazione i possibili ricavi, i possibili costi, ed il plausibile punto di pareggio della attività da intraprendere.
La predisposizione del documento, e la relativa consegna dello stesso all'affiliato, non è obbligatoria. Talora, tuttavia, esso costituisce un primo indice di distinzione tra un franchising network “serio” ed uno nel quale non è stata preventivamente realizzata un'analisi costs/risks.
Il business plan, infatti, costituisce un indice di estrema rilevanza in corso di rapporto. Esso fornisce la misura (quasi) esatta della redditività potenziale dell'impresa. In un network uso (come dovrebbe essere) al costante monitoraggio dell'andamento del singolo punto vendita, poi, qualsivoglia distanza tra i ricavi previsti ed i ricavi realizzati, proprio grazie a questo fondamentale strumento viene immediatamente individuata e rende possibile ogni più opportuno intervento correttivo (a titolo esemplificativo, la differenza tra il previsto ed il realizzato potrebbe discendere da inefficiente attività promozionale, nel qual caso il franchisor “serio” solitamente aumenta l'investimento in quel settore).
Per cui può sostenersi che se, da un lato, il business plan non costituisce certamente “promessa” in senso tecnico della realizzazione di determinati fatturati, dall'altro esso può assumere rilevanza sotto due profili autonomi e distinti:
-in primo luogo, in quanto se è vero che una distanza, a titolo meramente esemplificativo, del 20% tra aspettativa e realizzo effettivo può considerarsi anche fisiologica e, forse, contingente, un margine di variazione dell'80% può costituire un indice presuntivo di una palesemente erronea valutazione iniziale delle potenzialità del network, o del luogo ove il franchisor ha consentito di aprire il punto vendita affiliato (è frequente nella prassi la mancata “riuscita” di punti vendita allocati in luoghi con scarsa affluenza prevedibile ex ante);
-in secondo luogo, il mancato raggiungimento, magari per percentuali rilevanti, dei risultati previsti in business plan consente di “testare” immediatamente la “reattività” del franchisor. Che a quel punto, se non intende perdere il punto vendita o incorrere forse anche in qualche responsabilità dovrebbe porre in essere tutti gli interventi correttivi necessari alla risoluzione del problema.
Il tutto senza dimenticare di valorizzare in tale contesto il ruolo assunto dal concetto di “buona fede” in corso di esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c., che consente anche il generarsi di obblighi specifici non necessariamente previsti espressamente in sede contrattuale.
Giovanni Adamo Fondatore Studio Legale Adamo (www.studiolegaleadamo.it) - Avvocato in Bologna – Cultore della Materia di Diritto Civile nell’università di Bologna