Un'inflazione
programmata più bassa di quella effettiva; i ritardi nei rinnovi
contrattuali; la mancata restituzione del fiscal drag e la scarsa
redistribuzione della produttività: crollano le retribuzioni
In cinque anni (dal 2002 al 2007) i lavoratori hanno 'perso' 1.900
euro. E' questo l'allarmante dato che caratterizza il calo di
potere d'acquisto dei salari italiani.
Un dato fornito dall'ultima indagine dell'Ires-Cgil ('Aggiornamento
dei dati su salari e produttività in Italia e in Europa'), secondo
cui nel 2002-2007, per un lavoratore con una retribuzione annua
lorda di 24.890 euro (media 2007), 'si arriva a cumulare una
perdita complessiva a prezzi correnti pari a 1.210 euro'. Se a
questa si aggiunge il 'minus' derivante dalla mancata restituzione
del fiscal drag, la perdita ammonta a 1.896 euro.
La 'rincorsa salariale', spiega l'Ires-Cgil, è determinata da una
crescita delle retribuzioni inferiore all'inflazione reale e
nasconde un effetto di trascinamento della perdita di potere
d'acquisto: un lavoratore dipendente oltre alla perdita dell'anno
in corso non recupera la diminuzione del potere d'acquisto nemmeno
dell'anno precedente.
A fine ottobre, con le dinamiche connesse all'aumento di prezzo del
greggio e i mancati rinnovi contrattuali, le stime su inflazione e
retribuzioni restano sostanzialmente immobili, nonostante una
crescita della produttività pari a circa 1 punto percentuale. Il
2007, dunque, dovrebbe chiudersi con un'inflazione effettiva
intorno all'1,9%, le retribuzioni contrattuali tra il 2,1% e il
2,2%, e quelle di fatto sostanzialmente in linea con l'inflazione
effettiva al 2%.
Dal 1993 a oggi, secondo l'indagine, i salari reali mantengono il
potere d'acquisto, ma non crescono oltre l'inflazione. Le
retribuzioni di fatto registrano una crescita media annua, per
l'intera economia, del 3,4%, a fronte di un'inflazione del 3,2% (le
retribuzioni contrattuali crescono in media anche meno: solo il
2,7%). Questo sostanziale allineamento con l'inflazione è dovuto a
un'inflazione programmata più bassa di quella effettiva, ai ritardi
nei rinnovi contrattuali, alla mancata restituzione del fiscal drag
e alla scarsa redistribuzione della produttività.
L'applicazione
dell'Accordo del luglio 1993 - 'secondo lo spirito con cui era
stato concepito' - è stata ostacolata dallo scarto tra inflazione
programmata (sulla cui base si rinnovano i contratti) l'inflazione
sia attesa che effettiva. Questo è avvenuto in particolare nei
periodi 1994-1996, nel quale si cumulò uno scarto di circa 6 punti,
e nel periodo 2001-2004, nel quale si persero circa altri 4
punti.
Nel corso dell'intero periodo 1993-2007, i contratti nazionali
'sono stati costretti a cercare di recuperare le perdite che si
erano cumulate a causa di questi scarti, per cui anche la
redistribuzione di produttività realizzata tra il 1996 e il 2000 o
nel 2005-2006 è stata assorbita da questa rincorsa al potere
d'acquisto perduto nei periodi precedenti'.
A questa difficoltà, sottolinea l'istituto di ricerca del
sindacato, si sono aggiunti i ritardi - spesso anche di 12 mesi -
registrati nel rinnovo dei contratti (nel pubblico impiego fino a
due anni): anche questa è stata una delle difficoltà che ha
ostacolato il normale funzionamento di regole e procedure di
contrattazione dell'accordo del 1993 e che hanno indebolito la
capacità dei contratti di difendere il potere d'acquisto. E c'è poi
l'inadeguata redistribuzione della produttività attraverso la
contrattazione di secondo livello, anche per le difficoltà
incontrate nei rinnovi dei contratti nazionali.
Se il paese non riprende la strada degli investimenti ricerca e
innovazione e in infrastrutture, e se non si fa crescere la
produttività oraria del lavoro è tempo perso e qualsiasi soluzione
non va al cuore del problema.
Secondo Epifani, se il Governo riesce a superare questa fase di
vita parlamentare e si dovesse aprire nel Paese una fase
costituente di riforme, 'da gennaio palazzo Chigi dovrebbe
assumersi la responsabilità di una nuova politica dei redditi e di
sviluppo, per una migliore dinamica delle retribuzioni'.
In Italia, ha spiegato Epifani, 'abbiamo una crescita più bassa,
una produttività più bassa e una dinamica delle retribuzioni più
bassa della media europea. Bisogna rimettere al centro
dell'attenzione delle forze di Governo, del Parlamento e delle
forze sociali il tema della crescita, della produttività e delle
retribuzioni. Bisogna fare un'operazione di grande respiro - ha
sottolineato - e dentro questa impostazione si possono affrontare
tutte le questioni, partendo però dalla testa e non dai piedi, come
si sta cercando di fare. Se il Paese - ha evidenziato il leader
della Cgil - non riprende la strada degli investimenti in ricerca e
innovazione, se non si rendono le infrastrutture più produttive, se
non si fa crescere la produttività oraria del lavoro, è tempo perso
e qualsiasi soluzione non va al cuore del problema. E' come si
stesse svuotando la diga del Paese e si provasse a tamponare la
falla con un dito. Bisogna ripensare e costruire - ha concluso -
politiche in grado di affrontare tutti i termini della questione,
non uno soltanto che peraltro è il più modesto (la flessibilità
dell'orario di lavoro, ndr)'.
Tornando alla ricerca, significativa è la differenza del potere
d'acquisto dei redditi familiari di imprenditori e liberi
professionisti con quello di impiegati e operai: per i primi, è
cresciuto di 11.984 euro; per i secondi e terzi e calato
rispettivamente di 3.047 e 2.592 euro. La modesta crescita delle
retribuzioni, spiega l'indagine dell'Ires Cgil, è imputabile ad
alcuni fattori: oltre lo scarto tra inflazione programmata e quella
reale e i ritardi nel rinnovo dei contratti, anche 'l'inadeguata
retribuzione' della produttività attraverso la contrattazione di
secondo livello.
La bassa crescita delle retribuzioni 'si rende ancor più evidente
se confrontata con quella dei maggiori paesi europei'.
Dal 1998 al 2006, le retribuzioni di fatto reali nel nostro paese
sono rimaste sostanzialmente stabili, mentre negli altri paesi
dell'area euro si registravano tassi di crescita nettamente
superiori: il 10% in media nell'area della moneta unica, oltre il
15% in Francia e nel Regno Unito, e il 5% in Germania, nonostante
il sostanziale congelamento salariale degli anni 2000. In Italia
nel 2005, nel settore dei beni e servizi destinati alla vendita
(senza l'agricoltura e il pubblico impiego), la retribuzione lorda
annua media di un lavoratore single era inferiore di circa il 45%
rispetto a Germania e Regno Unito e di circa il 25% rispetto alla
Francia. La retribuzione netta registra più o meno le stesse
differenze, con l'eccezione della Germania, dove lo scarto scende a
circa il 30%.
Ad aggravare la questione salariale e ad abbassare il livello delle
retribuzioni medie, conclude l'Ires, c'è la questione giovanile.
Secondo i dati dell'istituto di ricerca, un apprendista in età
15-24 anni guadagna mediamente 736,85 euro netti al mese; un
collaboratore occasionale, in età 15-34 anni, guadagna in media
768,80 euro netti mensili; un co.co.pro. o un co.co.co., in età
compresa tra i 15 e 34 anni, guadagna in media 899,04 euro netti al
mese. I giovanissimi, in particolare, percepiscono le retribuzioni
più misere: gli stipendi inferiori a 800 euro sono molto diffusi
tra chi ha 17-24 anni (55,8%). Le retribuzioni tra 800 e 1.000
euro, poi, sono molto diffuse nella classe d'età 25-32 anni.
Di Carla Ronga
http://www.businessonline.it/3/LavoroeFisco/1980/crollo-retribuzioni-italia.html