Manuale Operativo Franchising
Per chi è: Ideale per franchisor, il...
“Signori, benvenuti. Avanti, prego. Ci sono posti liberi nelle prime file. Lei, con quella maglietta a righe, non spinga! Come dice? Non trova posto? Ma si figuri…. Può scegliere quelle nuvolette laggiù; oppure, se preferisce, ci sono quei cirrocumuli a sud-ovest. Ha a disposizione l’intero orizzonte!”
Stacco. Dissolvenza. Domanda: ma voi ce li vedete i top manager di Apple, Google, Amazon e Facebook nel ruolo di imbonitori? No? Eppure è proprio la posizione che stanno occupando per inaugurare la nuova era della musica digitale. Eh, già, la musica digitale. Quella illegale dei pirati. Quella legale di iTunes. Quella che può salvare l’industria discografica. Quella che ormai su Facebook ci si trova di tutto… E poi… ah già, quella sul telefonino!
Antefatto
Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare del “problema” della
musica digitale. Una guerra che ha visto contrapporsi case
discografiche a corto di fatturato (e di idee) e hacker che
ripetevano con insistenza che nell’era di Internet i modelli
tradizionali di distribuzione erano da considerare destituiti di
ogni fondamento.
Oggi, dopo anni di sanzioni, di azioni legali, di bilanci in rosso,
sembrano esserci tutte le condizioni per la firma di una pace
duratura. Perché questo possa accadere, occorre prima di tutto però
che venga condiviso un concetto un po’ macchinoso: i consumatori
devono accettare di passare dalla proprietà del singolo brano
musicale alla proprietà dell’accesso a questo ultimo. Un’operazione
ampiamente facilitata dal ruolo pionieristico di iTunes e dei suoi
emuli, che hanno diffuso nel mondo miliardi di brani perfettamente
legali e totalmente indipendenti dal supporto fisico
tradizionale.
Posta, immagini,
video…audio
A questo punto, con la musica trasformata in una manciata di dati
su un server remoto, è ovvio che le collezioni private possano
essere rese disponibili ai proprietari attraverso una connessione
di rete: la stessa cosa succede ormai da tempo con la posta
elettronica (Gmail), con foto e video (Facebook, YouTube).
Insomma, con l’arrivo dei servizi cloud (nella loro essenza più
popolare sono hard disk in rete) si è avvicinato l’orizzonte da
sempre evocato dai pirati: la distribuzione digitale della musica
fa registrare sempre nuovi record, gli album escono sulla Rete con
anticipo rispetto al negozio dietro casa, gli acquirenti di
apparecchi per la riproduzione di cd sono in netto calo.
L’industria discografica, però, guarda al futuro con fiducia:
quello che fino a poco tempo fa poteva essere uno scenario da
incubo è infatti una soluzione elegante a tutti i problemi. Già,
perché i nuovi servizi legati al mondo cloud sono per lo più a
pagamento, o comunque legati all’acquisto di musica
legale.
Uno sguardo al mercato
Nel momento in cui scriviamo, il mercato della musica digitale si
divide pressappoco fra lo schiacciante 70% dell’ecosistema
Apple, il 10% del marketplace Amazon e un restante
20% che viene spartito fra circa 500 operatori. Ma le cose stanno
cambiando. Anche perché sta per entrare in gioco un nuovo player
piuttosto scomodo che risponde al nome di
Facebook.
Nella nuova versione del social network per eccellenza ci sarebbe
una scheda “musica”, dove ciascun utente potrà postare le canzoni
preferite e renderle così visibili a tutti gli amici.
Che potranno ascoltare gratuitamente i primi 30 secondi di ciascun
pezzo. Ma che, se vorranno ascoltare per intero la musica
consigliata dagli amici, dovranno pagare un abbonamento mensile con
un costo variabile da 5 a 10 euro. Una “fee” sul modello della tv a
pagamento che verrebbe suddivisa fra gli operatori e le etichette
discografiche. E che già oggi può contare su un catalogo di circa
14 milioni di brani.
Cloud music.
Cosa cambia
Chi vincerà? Lo streaming su abbonamento o il download a pagamento
sui player hardware? Difficile dirlo, almeno per il momento.
L’impressione degli operatori, comunque, è che il disco
tradizionale sia davvero sul viale del tramonto. E mentre i
nostalgici lanciano anatemi sulla bassa qualità che ancora
caratterizza la musica digitale – il miglioramento della quale,
come sempre, è solo questione di tempo– emerge una domanda
inquietante.
Se il mercato rimarrà nelle mani di pochi monopolisti si imporranno
i numeri della cultura di massa: a quel punto sarà ancora possibile
realizzare –e vendere– i prodotti di nicchia che hanno sempre dato
lustro, varietà e sapore al settore discografico?
La risposta, ahinoi, è… Blowing In The Wind.
di Alessandro De Cristofori
Fonte: www.beesness.it