Manuale Operativo Franchising
Per chi è: Ideale per franchisor, il...
M E R C A T I: FARE RETAIL in CINA
di Carlo Geremia
Sto arrivando a Nanchang con un volo notturno da Shanghai. Di notte, dall’alto, Nanchang ricorda un grande luna-park: un vivace gioco di luci colorate. Le banchine del Ganjiang, il fiume che attraversa la città, sono ornate di luminarie colorate. Luci adornano i ponti che collegano le due sponde del Ganjiang. Le torri del centro finanziario di Nanchang sono incorniciate di luminarie rosse e gialle. In cima, insegne di banche e compagnie di assicurazione brillano a luce intermittente. L’aereo, intanto, vira a destra e sinistra alla ricerca della pista di atterraggio… Arrivato a terra, Nanchang presenta alcuni degli status symbol tipici di una capitale di una provincia cinese: un grande aeroporto con le navate di vetro, un’ampia superstrada che collega l’aeroporto al centro della città con, ai lati, siepi curate. Mentre il taxi attraversa il centro cittadino (ormai semideserto salvo alcune zone dove si raggruppano, assieme ai loro avventori, venditori ambulanti di spaghetti e ravioli fritti), il mio collega cinese si lamenta di come le città in Cina stiano perdendo, da un punto di vista urbanistico e architettonico, i loro caratteri distintivi per assumere sempre di più dei connotati standard. A Nanchang, come in tutte le capitali di provincia, c’è un ampio viale centrale lungo il quale sono allineati gli imponenti edifici governativi e una grande piazza “di rappresentanza” (dicono seconda, quanto a dimensioni, soltanto a piazza Tian An Men a Pechino). L’area commerciale di Nanchang, invece, è in corso di rifacimento. Accanto a edifici e centri commerciali costruiti in epoca abbastanza recente, ci sono un paio di grandi cantieri che annunciano l’arrivo di imponenti centri commerciali multifunzionali. Nanchang è la capitale della provincia dello Jiangxi, una provincia a sud-ovest di Shanghai e ad ovest delle limitrofe provincie costiere dello Zhejiang, Fujian e Guangdong. Nanchang si trova infatti a metà strada tra Shanghai e Guangzhou (Canton), la capitale del Guangdong. Secondo le statistiche ufficiali Nanchang ha una popolazione di circa cinque milioni di abitanti. A Nanchang, essendo capitale di provincia, spetterebbe lo status di città di secondo livello (“second-tier city”), dopo le città di primo livello identificate in Pechino, Shanghai e Guangzhou. Tuttavia il fatto di essere piuttosto lontana dalle attività commerciali della costa e di appartenere a una provincia in cui l’agricoltura ha ancora un ruolo molto importante tende a far scivolare Nanchang verso il terzo livello. Fare retail di prodotti occidentali (o con marchi occidentali) a Nanchang pone questioni simili al fare questo tipo di attività in altre città di secondo o terzo livello della Cina.
FOCUS
Nanchang ha una popolazione di circa cinque milioni di abitanti.
Come capitale di provincia avrebbe lo status di città di secondo
livello (“second-tier city”), dopo le città di primo livello
identificate in Pechino, Shanghai e Guangzhou, ma essendo piuttosto
lontana dalle attività commerciali della costa e in una provincia
dove ancora l’agricoltura ha un ruolo preminente si colloca verso
il terzo livello.
Foto a lato: Zara ha 127 negozi in Cina (fonte: www.inditex.es, aggiornata al 31 ottobre 2012).
Di questi negozi, 32 sono ripartiti tra Shanghai (17), Pechino (13) e Guangzhou (2); fonte: www.zara.cn.
Vi sono almeno due aspetti da considerare per valutare se una città cinese di secondo o terzo livello sia matura alla ricezione di prodotti occidentali (o con marchio occidentale) aventi certi standard di qualità e prezzo. Un primo fattore è la capacità di spendere dei consumatori locali, l’altro è il loro stile di vita. Tra gli indici che suggerirei di prendere in considerazione, i primi due riguardano il potere di acquisto dei consumatori locali, il terzo lo stile di vita:
- il salario medio mensile pubblicato dal locale ufficio del lavoro (questo dato serve anche per il computo del trattamento di fine rapporto di un dipendente). Per avere un’idea dei valori e dei termini di paragone, riporto qui di seguito i salari medi mensili di Nanchang, Shanghai e Hangzhou (tra parentesi indico l’equivalente in Euro al cambio attuale). I valori si riferiscono al 2011; per Nanchang, invece, al 2010. - Nanchang: RMB 2.920 (Euro 350) - Shanghai: RMB 4.331 (Euro 523), - Hangzhou: RMB 3.236 (Euro 391). Nota: Hangzhou è la capitale dello Zhejiang, la provincia più ricca della Cina. Shanghai, invece, è una municipalità, non una provincia, ed è direttamente sottoposta al controllo del Governo Centrale;
- la presenza di negozi del lusso. Da questo punto di vista, è importante vedere se e quali marchi del lusso siano presenti ed eventualmente in quali punti della città abbiano aperto i propri negozi;
- lo stile di vita e le abitudini dei consumatori locali. In alcune città di secondo o terzo livello, infatti, sebbene il tenore economico sia piuttosto elevato (tale per esempio da giustificare la presenza di firme dell’alta moda) lo stile di vita è rimasto ancora piuttosto tradizionale. In questo caso potrebbe risultare difficile vendere prodotti tipicamente occidentali, mi riferisco, in particolare, al settore food & beverage, dove il consumatore cinese rimane più saldamente legato alla tradizione. Da questo punto di vista, un fattore che può essere indicativo del cambiamento, in almeno parte della popolazione urbana, dello stile di vita, è la presenza di punti vendita Starbucks. I clienti di Starbucks sono (oltre agli stranieri) soprattutto i giovani cinesi, e tra questi, in particolare, i colletti bianchi con uno stile di vita con tratti occidentali. Ad esempio, condividono con i loro omologhi occidentali l’abitudine di bere un caffè (o altra bevanda) al volo sulla via per andare (o rientrare dopo la pausa pranzo) al posto di lavoro. La continua esposizione della popolazione urbana cinese a modelli di vita occidentali (anche attraverso soggiorni di studio e viaggi all’estero) rende questa situazione molto fluida e in continua evoluzione.
Foto sopra: Per le festività del Capodanno Cinese (lo Spring Festival), Starbucks pubblicizza nuove bevande, piuttosto originali per un marchio famoso in occidente per il caffè, come il tè al latte al sapore dei fiori di pesco.
Starbucks ha 732 punti vendita in Cina (fonte:
www.loxcel.com, aggiornata al 16 novembre 2012) e annuncia che
intende raggiungere quota 1.500 entro il 2015 con una forte
espansione nelle città cinesi di secondo e terzo livello.
Shanghai: una delle città di primo livello della Cina
Dal suo ingresso in Cina nel 1997, Adidas ha aperto più di 6.000
negozi e, a luglio 2012, annunciava di aprirne altri 600 in ca. 300
città all'interno della Cina dove non é ancora presente (fonte:
www.chinadaily.com.cn del 19 luglio 2012).
Bisogna riconoscere che c’è del vero che le città cinesi
tendono, in questi ultimi anni, a seguito della trasformazione
urbanistica e architettonica in corso, a riprodurre dei caratteri
distintivi ricorrenti. Sempre più di frequente, nell’area
commerciale di una città (anche di terzo o quarto livello) sorge
(almeno) un grande centro commerciale dove si raccolgono i marchi
occidentali (e non solo) di maggior successo tra il pubblico
cinese. Tra i “soliti noti” ci sono, nel settore della
ristorazione, KFC, Pizza Hut e McDonald’s, nella grande
distribuzione: Walmart, nell’abbigliamento Zara, H&M,
Adidas e Nike.
Tra i marchi non-cinesi di successo va anche menzionato, nel
settore abbigliamento, quello giapponese Uniqlo. Per dare
visibilità al punto vendita, quindi, l’ubicazione preferibile
sarebbe all’interno di uno di questi centri commerciali. Tuttavia,
a meno di non avere un marchio notorio in Italia e nel mondo, non è
sempre facile aprire un punto vendita in questi centri commerciali.
A Shanghai le proprietà dei centri commerciali non solo chiedono
rassicurazioni sulla solvibilità di chi prende in affitto il
negozio (per esempio, che sia già stata costituita la società in
Cina e questa abbia un capitale sociale adeguato al progetto) ma
anche informazioni sulla storia e esperienza all’estero
dell’azienda investitrice nonché sul business plan del progetto
retail in Cina. Non è sufficiente, insomma, essere un marchio
straniero per trovare spalancate le porte dei centri commerciali
più importanti o un punto vendita in una delle principali vie dello
shopping cittadino.
Il contesto normativo cinese degli investimenti stranieri nel settore della vendita al dettaglio è sostanzialmente lo stesso a livello nazionale. Vi sono però particolarità locali che possono riguardare, ad esempio, la formulazione dell’oggetto sociale di una società commerciale, il capitale minimo (non ufficialmente) richiesto se l’investitore è uno straniero, e i documenti da presentarsi per la registrazione della società. Più marcate possono essere le differenze riguardanti regolamenti fiscali locali o prassi adottate dagli uffici delle tasse. In aggiunta alle particolarità normative e alle prassi locali, una delle differenze principali, in materia di investimenti, tra le città di primo livello (Shanghai, Pechino e Guangzhou) e le altre città cinesi riguarda l’applicazione del principio di legalità e la trasparenza amministrativa. In altre parole, nelle città cinesi di secondo e terzo livello (e oltre) è più facile imbattersi in una maggiore discrezionalità da parte delle autorità amministrative che può comportare una dilazione dei tempi del progetto oltre a certi aspetti di incertezza. È di rito sottolineare l’importanza dei “contatti”, delle “relazioni” interpersonali (“guangxi”) come chiave per fare business in Cina. Se da un lato è innegabile che siano importanti, dall’altro credo sia anche opportuno mettere in guardia contro possibili scorciatoie che i “guangxi” del caso potrebbero suggerire. Se la “scorciatoia” può consentire, nell’immediato, di risolvere rapidamente un problema, dall’altro espone l’investitore straniero a una situazione di rischio e incertezza se altri problemi dovessero sorgere in futuro.
Sono partito da Nanchang la mattina presto per raggiungere in treno Xinyu (la città più industrializzata dello Jiangxi con una popolazione di oltre 1.100.000 abitanti). Sulla via verso la stazione mi sono fermato a un KFC per comprare la colazione. Il “menù” in italiano può essere tradotto come: minestra di riso con pollo e uova (pidan shourou zhou ?????), pane fritto (youtiao ??) e latte di soya (doujiang ??). Il KFC, come avviene spesso in Cina, era affollato da giovani e meno giovani. Il successo di KFC in Cina è un classico caso di localizzazione, ossia di adattamento di un prodotto e un servizio ai gusti e alle abitudini locali. KFC riesce a far coesistere elementi come: pietanze che sono conformi al gusto locale, qualità, pulizia e igiene (almeno così appare), e prezzi molto competitivi. Tutto questo in un settore molto delicato, soprattutto in Cina, come quello della ristorazione su larga scala dove sono sempre in agguato rischi di sicurezza alimentare. KFC è senz’altro un caso da studiare (e, quando i mezzi e le risorse lo consentono, copiare) da chi, non soltanto nel settore food & beverage, intenda intraprendere una espansione aggressiva verso l’interno (e non solo) della Cina.
LINK UTILI
Carlo Geremia è autore del blog “Cina Legalmente Parlando”,
Un Blog sugli Aspetti Legali del Fare Business in Cina:
www.cinalegalmenteparlando.com
Per chi volesse contattare Carlo Geremia:
carlo.geremia@nctm.it
Carlo Geremia è avvocato (in Italia ed in Inghilterra), e da oltre
dieci anni vive e lavora in Cina. In questi anni ha assistito
imprenditori di varie nazionalità in molteplici progetti di
investimento e commerciali in Cina, occupandosi anche di diritto
del lavoro e tutela della proprietà intellettuale. Attualmente
collabora con NCTM Studio Legale Associato a Shanghai.