Manuale Operativo Franchising
Per chi è: Ideale per franchisor, il...
Scegliete un’azienda a caso, prendete il marketing manager e chiedetegli a bruciapelo su quale canale pensa di concentrare gli sforzi delle strategie di comunicazione da qui a cinque anni. Nove su dieci, vi parlerà di social network. Facebook, Twitter, LinkedIn... Nove su dieci, non avrà un’idea precisa sul da far si. Ma volete sapere il meglio? Nove su dieci, avrà perfettamente ragione.
Dalle chiacchiere alla
cultura
A questo punto potreste obiettare che la previsione è fin troppo
facile e che l’articolo è banale. Di questi tempi non si fa che
parlare dei social network, del loro ruolo anche politico (la
campagna di Obama, la Primavera Araba). Insomma, ci hanno fatto
anche un film milionario…Perfetto… avete ragione anche voi. Quelle
elencate finora non sono però che le premesse dello scenario. Dati
di partenza che servono a ben poco se non si mette in campo un
processo fondamentale: l’organizzazione. Solo organizzando le
informazioni è possibile trasformare il rumore di fondo del mondo
social (che, sia detto per inciso, è piuttosto elevato) nella più
grande opportunità di business dei prossimi anni. Insomma, occorre
fare “cultura sociale”: e qui casca a pennello una bella
riflessione che viene da molto lontano, e precisamente dalla
Germania di fine Settecento. Goethe (sì, quel Goethe) scriveva che
“(…) comunicare l’un l’altro, scambiarsi informazioni è natura;
tenere conto delle informazioni che ci vengono date è
cultura”.
L’intelligenza reale del mondo
artificiale
Su questo spartiacque fra natura e cultura, incoscienza e
consapevolezza, si giocano le sorti magnifiche e progressive
dell’economia del mondo digitale. Che ha di fronte a sé non una, ma
moltissime possibilità. “Il settore dei social network”, ha
dichiarato in proposito il professore della Sapienza Stefano
Epifani nel corso di Social Media Marketing 3.0, un evento svoltosi
a Roma il 14 dicembre scorso, “offre una pluralità di approcci che
permettono di modellare le strategie aziendali con grande
precisione. Pensiamo alla differenza che intercorre fra strumenti
come Facebook, Twitter o Google+… Alla base di ciascuno di essi ci
sono scelte profondamente diverse sia dal punto di vista operativo
che di relazione con il mercato. La divergenza è però in questo
caso una ricchezza nelle mani degli operatori del marketing, che
possono scegliere in modo più mirato i social media tools più
efficace per le campagne a sostegno del proprio
business”.
I big entrano in campo
Che la questione sia da considerare seriamente è provato dal fatto
che i maggiori produttori di software aziendale, IBM in testa, si
stiano impegnando nello sviluppo di nuove suite per l’analisi e la
gestione in tempo reale dei dati social. E stiano facendo a gara
per diffondere il nuovo “modello culturale” del fare business. “Un
Social Business”, dichiarano per esempio alla IBM, “non è
semplicemente un’azienda che mantiene una pagina su Facebook e un
account Twitter. Un Social Business è un’impresa che abbraccia e
coltiva sistematicamente, a tutti i livelli della struttura
aziendale, la filosofia della collaborazione e il senso di
appartenenza ad una comunità”. Al di là del sound vagamente hippie
di queste affermazioni, il concetto di fondo si può riassumere nel
teorema secondo il quale l’era del B2B e del B2C (Business to
Business e Business to Consumer) sia terminata, e che al suo posto
stia sorgendo l’era del P2P –da non intendersi naturalmente come
peer to peer, ma come people to people.
La gente al centro
dell’attenzione
Persone in continuo collegamento con altre persone: questo è quello
che il Social Business, nella sua incarnazione più alta, promette
di ottenere. In un tipico scenario aziendale, questo significa ad
esempio che le barriere fra i dipartimenti e i diaframmi che
separano i clienti dai dipendenti sono destinati a cadere. D’altra
parte, sono già molte le imprese d’Oltreoceano che stanno pensando,
ad esempio, di abbandonare l’e-mail tradizionale come strumento di
comunicazione aziendale. Il motivo? È troppo limitata: nel suo
procedere “da punto a punto” elimina già nelle premesse la
sfavillante ricchezza di stimoli delle comunicazioni social (detto
fra parentesi, è significativo che questo avvenga mentre dalle
nostre parti i governi si affannano per imporre l’uso della posta
elettronica certificata).
Alcuni scenari
L’esempio della posta elettronica è illuminante, ma limitato. La
filosofia “sociale” si può infatti applicare con grande successo
agli ambienti produttivi. Prendiamo ad esempio un team di
architetti, o di ingegneri, al lavoro su un progetto comune. Il
flusso di lavoro tradizionale prevede che ciascuno elabori il
proprio contributo indipendentemente, per poi sottoporlo
all’attenzione della squadra. Le modifiche vengono riportate dopo
la revisione, e via di questo passo fino alla verifica successiva,
lungo un percorso continuamente interrotto da revisioni e
ripensamenti. In uno scenario social, la collaborazione avviene
all’interno dell’ambiente di lavoro, magari già entro le finestre
del software di progettazione. Le riunioni di verifica sono molte
meno, e il prodotto finale incorpora la lunga serie di interazioni
e di stimoli incrociati che derivano dalla forte componente
“sociale”.
…e i consumatori?
Dulcis in fundo, l’apertura al mondo social permette di
intercettare in tempo reale gusti e tendenze dei consumatori.
Regolarsi di conseguenza, adattando la lunga catena che unisce le
linee di produzione e l’attività di marketing, è il passo più
ovvio. Ma di questo parleremo più diffusamente in un’altra
occasione. Per non rimanere, appunto… un passo indietro.
Fonte: Beesness (www.beesness.it)
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