Manuale Operativo Franchising
Per chi è: Ideale per franchisor, il...
Mario Resca, Confimprese: «Spostamento a Oriente dei consumi
e saturazione della distribuzione nei Paesi occidentali i motori
dello sviluppo del retail in Cina. Normativa sul lavoro e crescente
ruolo dei sindacati tra gli ostacoli»
Milano, 8 aprile 2013 – Mille miliardi di dollari di vendite al
dettaglio con un trend incrementale del 15% su base annua. La Cina
continua a fare appetito al settore retail, che attualmente
soddisfa il 20% della popolazione e che ha dunque ampi margini di
crescita. Nel ranking delle città, dove nel 2012 si è registrato il
più alto tasso di crescita nel retail, Pechino è in pole position
con quasi 8 milioni di dollari di vendite (+15%) e un reddito
pro-capite di 36mila dollari, seguita da Shanghai con oltre 7
milioni (+14,3%) e un reddito di 40mila dollari e da Ghoungzhou con
6 milioni (+12%) e un reddito di 38mila dollari (dati CBRE). Questo
ciò che è emerso dal convegno ‘Business retail in Cina’,
organizzato da Confimprese in Fiera MilanoCity con la
collaborazione del mensile Retail&Food e la partnership di
Diacron, Eversheds Bianchini, Htlc Network e Unicredit.
«Nel 2020 – commenta Mario Resca, presidente
Confimprese – in Cina ci saranno 420 milioni di consumatori
appartenenti alla middle-class, un numero pari a 6 volte la
popolazione dell’Italia. La saturazione degli spazi di sviluppo del
retail in Europa occidentale costituisce un forte incentivo per chi
vuole investire in Oriente, dove i mercati retail locali hanno un
bacino di consumatori in grande crescita. Inoltre, stanno
aumentando i livelli salariali e di conseguenza la domanda di beni
di consumo, soprattutto quelli prodotti dai brand occidentali. Per
questo Confimprese ha varato il progetto ‘Internazionalizzazione e
Retail’, che prevede l’avvio di un osservatorio sui processi di
internazionalizzazione delle imprese italiane del moderno commercio
a catena, nell’intento di supportare gli associati che esplorano
nuovi mercati in cui svilupparsi».
Non bisogna, tuttavia, sottovalutare alcune difficoltà di
penetrazione nel mercato cinese, legate a problematiche di natura
sindacale e alla gestione della forza lavoro. In base alla Legge
del 2001 il sindacato ACFTU (All China Federations of Trade Unions)
ha acquisito maggiore forza contrattuale, tanto che può arrivare a
chiedere l’annullamento del licenziamento, se pure la sua funzione
rimane principalmente quella di sostenere il lavoratore nel periodo
che segue la perdita del posto di lavoro. Inoltre, il turnover in
Cina supera di gran lunga i normali livelli fisiologici ed è molto
elevato, in quanto il lavoratore è disposto a cambiare il posto di
lavoro per una retribuzione di poco superiore a quella
precedentemente percepita. Per il retailer straniero non è facile
muoversi all’interno di queste dinamiche complesse e corre, dunque,
il rischio di un fallimento dell’intero progetto di sviluppo
distributivo, oltre che di errata gestione del rapporto con il
lavoratore.
Un primo sbarco in Cina potrebbe anche avvenire inizialmente
attraverso l’e-commerce, che cresce a ritmi del 40% l’anno e che
nel 2016 supererà i 300 miliardi di euro. La Cina è il secondo
mercato asiatico con 86 miliardi di euro di vendite online, dietro
al Giappone (99 miliardi di euro), ma ha una spesa pro-capite annua
ancora bassa: 390 euro vs 2,790 degli Usa, 1,784 della Gran
Bretagna e 1,074 dell’Italia. Il 68,1% dei cinesi acquista online
abbigliamento e calzature, il 30% prodotti cosmetici, il 20%
food.
«Il futuro del retail risiede nell’espansione all’estero– conclude
Resca –, soprattutto nei mercati dove il concetto del commercio a
catena è già fortemente sentito e pertanto sosteniamo le nostre
imprese che decidono di sbarcare in Cina, dove pur con le
difficoltà sopra descritte, c’è ancora spazio per crescere.
Attualmente è presente il 47% circa dei retailer internazionali,
mancano ancora molti marchi dalle calzature all’abbigliamento,
dall’entertainment alla ristorazione fino alla gioielleria e
all’accessoristica, settori ben rappresentati in Confimprese».
Laura Galdabini
Ufficio Stampa Confimprese
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