Pubblichiamo un estratto della terza di un ciclo di sei
conferenze tenute da Rupert Murdoch: è stata trasmessa dalla Abc
Radio National domenica 16 novembre, è dedicata al futuro dei
giornali e la trascrizione completa, assieme al file audio, sono
disponibili nel sito www.abc.net.au / rn / boyerlectures /
stories/2008/2397940.htm
Quando si discute di futuro con chi lavora nei giornali, si scopre
quasi sempre che troppi di loro pensano che a noi stia a cuore
soltanto il giornale in quanto tale. Io adoro i giornali e la
sensazione che provo sfogliandoli, tanto quanto chiunque altro, ma
ciò di cui ci occupiamo concretamente non è stampare qualcosa su
ciò che si produce abbattendo alberi. Ciò di cui ci occupiamo è
dare ai nostri lettori un grande giornalismo e una grande capacità
di giudizio.
È vero: nei prossimi decenni le versioni stampate di alcuni
quotidiani perderanno copie, ma se i giornali forniranno ai lettori
notizie attendibili sulle quali i lettori possano fare affidamento,
assisteremo a un aumento delle vendite, sulle nostre pagine Web,
nei nostri feed Rss, nei messaggi di posta elettronica con i quali
recapiteremo notizie su misura per il lettore insieme alla
pubblicità e ovviamente sui telefoni cellulari.
In sintesi, noi ci troviamo in una fase di passaggio che da
giornali di informazione (news papers) ci porterà a brand di
informazione (news brands). In tutta la mia vita lavorativa ho
sempre creduto che ci fosse un valore sociale e commerciale
concreto nel distribuire notizie accurate in modo economico e
tempestivo. In questo secolo, potrà forse cambiare il modo col
quale le faremo circolare, ma i potenziali destinatari dei nostri
contenuti aumenteranno e si moltiplicheranno a dismisura.
Sono molto scettico nei confronti degli odierni pessimisti per una
semplice ragione: ho già sentito moltissime volte le loro sdegnate
congetture. Le sfide esistono e sono reali, inutile negarlo:
probabilmente non esisterà mai un ufficio senza carta, ma i giovani
stanno mettendo su case nelle quali la carta non compare proprio.
Le tradizionali forme di ricavo, come le inserzioni pubblicitarie,
stanno riducendosi sempre più, esercitando così pressioni non
indifferenti sul modello consolidato di lavoro. I giornalisti
inoltre devono far fronte a una nuova concorrenza da parte di fonti
alternative di notizie e informazioni.
Un tempo era prassi comune che una manciata di direttori di testate
potessero decidere che cosa faceva o non faceva notizia. Agivano
alla stregua di semidei: se pubblicavano una notizia essa era tale,
se la ignoravano niente era accaduto. Oggi i giornalisti stanno
perdendo questo potere. Internet, per esempio, fornisce accesso a
migliaia di fonti di informazione che si occupano di notizie che un
redattore potrebbe anche ignorare. E se non si è soddisfatti delle
notizie che si ricevono, si può sempre dar vita a un blog personale
e coprire e commentare da soli la notizia che si ha a cuore.
I giornalisti amano pensare di assolvere le funzioni di un "cane da
guardia" del potere, ma non sempre hanno risposto bene quando il
pubblico li esorta a rendere conto di ciò che riferiscono. Quando
Dan Rather ha fatto una trasmissione nella quale ipotizzava che il
presidente Bush avesse evitato il servizio militare durante il
periodo nel quale era reclutato nella Guardia Nazionale, i blogger
subito misero in luce la natura equivoca delle fonti e dei
documenti che egli aveva presentato.
Lungi dal celebrare questo tipo di giornalismo popolare, i media
dell’establishment reagirono rimanendo sulla difensiva: quando si
presentò a Fox News, un dirigente della Cbs attaccò i blogger con
una dichiarazione che passerà alla storia per la sua arroganza.
Egli disse che "60 Minutes" era un’organizzazione di professionisti
e al contrario liquidò i blogger come "tizi che se ne stanno seduti
in soggiorno in pigiama a scrivere". Alla fine, però, furono quelli
col pigiama a costringere Dan Rather e il suo produttore alle
dimissioni.
I lettori vogliono notizie, come e più di prima (…) Il trend
digitale che risulta discriminante dal punto di vista dei contenuti
è la sempre maggiore raffinatezza della ricerca: già adesso è
possibile personalizzare il flusso di notizie, adattandolo al Paese
voluto, a una data azienda o a un argomento preciso. Tra un
decennio l’offerta sarà ancora più articolata e si sarà in grado di
soddisfare le esigenze e gli interessi del singolo.
Dopo tutto una studentessa della Malesia non può avere i medesimi
interessi di un dirigente sessantenne di Manhattan, proprio come un
ragazzo adolescente non ha i medesimi interessi di sua nonna. La
vera sfida consiste nel saper utilizzare il brand di un giornale
consentendo al contempo ai lettori di personalizzare le notizie per
conto proprio, e quindi recapitargliele nel modo da loro
prescelto.
Questo è quanto stiamo cercando in questo momento di fare con il
Wall Street Journal, che ha il vantaggio di avere un pubblico di
lettori locali molto fedele, di essere una testata nota per la
propria qualità e di avere direttori che considerano seriamente i
loro lettori e gli interessi di questi ultimi.
Uno dei modi che ci ripromettiamo di utilizzare per sfruttare le
opportunità che offre Internet è proporre tre diversi livelli di
contenuti. Il primo è quello delle notizie che mettiamo online
gratuitamente. Il secondo sarà disponibile per chi si abbonerà al
sito del giornale e il terzo sarà un servizio premium, concepito
per offrire ai consumatori la possibilità di personalizzare le
notizie di tipo finanziario e di analisi finanziaria provenienti da
tutto il mondo.
In tutto ciò che facciamo dovremo sempre assicurarci di farlo in
modo tale da adeguarci quanto meglio possibile alle preferenze dei
nostri lettori in fatto di piattaforma: sulle pagine Web alle quali
potranno accedere da casa o lavorando ad alcune invenzioni ancora
in evoluzione, come il kindle di Amazon (lettore portatile di
giornali ed ebook N.d.R), come pure ad altre piattaforme come
telefoni cellulari o blackberry.
In definitiva torniamo a ciò che dicevo all’inizio: al legame di
fiducia tra i lettori e il loro giornale. Molte cose sono cambiate
da quando misi piede per la prima volta nel 1954 nella redazione
dell’Adelaide News. Le tipografie non sono mai state più veloci o
più flessibili. Adesso abbiamo computer che ci consentono di
impaginare pagine diverse per paesi diversi. Abbiamo una
distribuzione molto più rapida. Tuttavia, nulla di tutto ciò avrà
implicazioni positive per i giornali se non faremo fronte alla
nostra responsabilità primaria: guadagnarci la fiducia e la fedeltà
dei nostri lettori.
Non pretendo di avere tutte le risposte: tenendo conto della realtà
della tecnologia moderna, questo mio stesso discorso radiofonico
potrebbe essere tagliato e digitalmente rimontato in altro modo,
potrebbe essere ascoltato tra un giorno, un mese o un decennio
intero. E giustamente io potrò essere tenuto a rispondere di quanto
detto in eterno, qualora avessi detto qualcosa di sbagliato, e
potrei essere anche preso in giro per la mia incapacità a
comprendere quanto diverso è diventato questo nostro mondo.
Nondimeno, non credo di sbagliare almeno su un punto: il giornale,
o un suo parente elettronico molto stretto, esisterà sempre. Forse
non verrà recapitato sulla soglia di casa come ancora oggi accade,
ma il rumore che esso fa cadendo sullo zerbino continuerà a
riecheggiare in tutta la nostra società e nel nostro mondo.
(Traduzione di Anna Bissanti)