Fitness, il ciclone Branson conquista l’Italia

Data

nov 24, 2008

TEMPO LIBERO/ IL BUSINESS DELLE PALESTRE HA FATTO REGISTRARE, FINO ALL’ARRIVO DEL GRUPPO BRITANNICO, UN TASSO DI CRESCITA DEL 2%, UN PANORAMA FRAMMENTATO CON MOLTE COOPERATIVE E NON PROFIT

STEFANO CARLI

Appena entrati salta agli occhi: è tutto molto stile ‘british corporation’: ampia accoglienza, molta luce, colori chiari, molto personale sorridente. Dentro, tante ‘macchine’, locali ampi e grandi poster motivazionali, con giovani sorridenti mentre fanno movimento e sotto slogan sul fitness e la salute, fisica ma anche psichica. Sale pesi, sale spinning, sale cyclette, tappeti e altre diavolerie ginniche come ‘step’, ‘wave’; sale per gli allenamenti con il personal trainer. Due piscine, una delle quali esterna, per l’estate. E poi bar e ristorante: non incastrati in qualche angolo della struttura, come nella maggior parte delle palestre ma praticamente al centro, con vista sulle sale (tanto il sistema di areazione è più che adeguato. Guai insomma a chiamarle palestre: quelle di Virgin Active, sono Fitness Village. E non è solo una pura questione terminologica: dietro c’è una strategia molto articolata e ambiziosa.
«I nostri veri concorrenti spiega Luca Valotta, amministratore delegato di Virgin Media Italia non sono tanto le altre palestre e centri fitness, ma le grandi multisala e i parchi divertimenti: le strutture dove le famiglie vanno per vivere assieme momenti di relax e di divertimento, ben dotate di servizi, dalla ristorazione ai parcheggi».
Già da qui si può intuire come l’arrivo di Virgin Active in Italia sia stato una mezza rivoluzione. Un panorama arretrato rispetto agli altri grandi mercati europei. Un settore iperframmentato in una miriade di aziende di piccola dimensione, spesso familiare o poco più; molte cooperative, una larga prevalenza di status da organizzazioni non profit, quindi società a bassa liquidità, e poco portate agli investimenti. L’ultima fotografia del settore risale al 2004 e parlava di 12 mila palestre, la metà delle quali hanno aggiunto una qualche offerta di servizi estetici, o magari anche solo una sauna, e sono ‘evolute’ al rango di ‘centri fitness’.
Questo universo è la parte business di quello più ampio del più generico ‘movimento fisico’ che il Censis ha stimato in Italia, al 2007, in 34 milioni di persone che fanno una qualche attività sportiva in 95 mila centri (che comprendono però anche i campetti delle parrocchie).
E’ su questo mercato che proprio dal 2004 si è abbattuto il fenomeno Virgin. Come in tutte le altre iniziative partorite dalla mente vulcanica di Richard Branson (dalla musica ai telefonini ai viaggi spaziali) ha portato una grande innovazione in un prodotto considerato abbastanza maturo. E ha stravolto le regole del gioco.
Facendo un bilancio dei primi tre anni e mezzo sul mercato italiano Valotta (che come è tipico in tutto l’impero Virgin risponde direttamente a Branson) non deve fare altro che sciorinare numeri. «Siamo partiti a Genova, poi Milano, Bologna, Torino, Firenze. A Roma siamo arrivati nel 2005 e nel 2007 abbiamo aperto il Fitness Village di Ostia, uno dei più grandi, in una struttura comunale abbandonata che abbiamo completamente ristrutturato. A fine 2008 i nostri ‘Village’ saranno 14. Nel 2009 ne aggiungeremo altri 8, e arriveremo a 22. Nel 2014 l’obiettivo è di arrivare a quota 60. Il fatturato è arrivato a 53 milioni, in linea con quello registrato da Virgin Active nel Regno Unito, un mercato più avanzato, dove i ricavi sono a 230 milioni di euro, ma con 72 club».
Che Virgin abbia intercettato una domanda ancora inevasa del mercato italiano è testimoniato anche dagli indici di redditività: il roe è sopra al 30% (Branson ha oltre il 50% della società, ma nel capitale sono presenti anche due fondi, Permira e Bridgepoint e l’attenzione agli aspetti finanziari è di conseguenza alta).
Un’altra particolarità di questa crescita è data dal fatto che è avvenuta nel 99% dei casi per linee interne. Tutti i centri di Virgin sono strutture realizzate ex novo (troppo piccole e troppo spesso dalla contabilità incerta le possibili ‘prede’ italiane, spiega Valotta). L’unica acquisizione finora realizzata dal 2004 è di appena tre settimane fa: il club Francesco Conti di corso Como a Milano.
Strutture nuove e di grandi dimensioni. Mentre nello scenario italiano pre Virgin la dimensione media dei centri fitness (escluse quindi le semplici palestre) era di 4 mila metri quadri, per Virgin Active questo è il taglio minimo. «Cerchiamo localizzazioni che siano anche in grado di ospitare parcheggi per favorire le famiglie», spiega Valotta. E’ per questo che a Roma Virgin sta per concludere l’avvio della realizzazione di un terzo centro al Torrino, uno dei nuovi quartieri vicino l’Eur. E c’è anche chi ha fatto il nome di Virgin per il progetto di un grande centro benessere che dovrebbe sorgere sulle ceneri del vecchio Velodromo costruito per le Olimpiadi del ’60 e abbattuto l’estate scorsa, ma non ci sono conferme (e forse ciò dipende dal fatto che sarebbe troppo vicino al nuovo centro del Torrino).
Dietro al successo della società di Valotta, c’è dunque un’offerta che va al di là della pura e semplice salute fisica. Non è solo la presenza di centri benessere nei Villaggi, con saune, bagni turchi e cure estetiche, ma si va parecchio oltre. Una cura particolare è stata dedicata ai pacchetti per i più piccoli. Non solo corsi di nuoto e di ginnastica sotto la guida di istruttori specializzati, ma abbinati, soprattutto l’estate, altre iniziative collaterali, come i corsi di lingua, che permettono alle famiglie di lasciare i bambini sotto tutela per l’intera mattina o per il pomeriggio. Per gli adolescenti ogni centro è attrezzato con salette PlayStation con le versioni più aggiornate dei più noti videogiochi (sotto il controllo di ‘educatrici’). Per genitori, e non solo, ci sono invece i servizi di ristorazione, affidati in outsourcing, che cominciano ad attrarre clienti anche indipendentemente dalla palestra: i soci, insomma, iniziano ad andare anche solo per mangiare. Effetto di un’altra delle innovazioni portate da Virgin, l’apertura domenicale: forse non saranno stati loro i primi in assoluto (come per l’apertura alla mattina presto) ma sono sicuramente quelli che attorno al ‘benessere di domenica’ hanno costruito un pacchetto di offerte allettante. Anche perché il prezzo di tutto questo non è certo alto: siamo sui 79 euro al mese per l’utilizzo di tutte le strutture del centro, dalle attrezzature alle saune e piscina e fino alle PlayStation (escluse solo le cure personali). Un costo in sostanza in linea con il resto del mercato e probabilmente inferiore in rapporto al complesso dei servizi offerti ai soci. Che ad oggi sono arrivati a quota 75 mila. Un numero che fa di Virgin Active Italia senza alcun dubbio il primo operatore del mercato italiano. Un primato che pure si basa su una quota di mercato di appena l’1,5% e che dice molto sulla frammentazione italiana. «In Gran Bretagna spiega Valotta ci sono almeno cinque grandi catene nel settore e assieme controllano oltre il 30% del mercato».
Virgin Active Italia impiega un centinaio di persone in modo diretto, che salgono a 1.500 con i rapporti professionali con i trainer e con gli addetti esterni a pulizie e ristorazione: «Stiamo facendo uscire il settore dalla zona grigia», chiosa Valotta, aggiungendo che il prossimo obiettivo è di iniziare anche a guardare al Sud («Stiamo analizzando alcune ipotesi, per esempio a Catania», dice Valotta).
Su questo scenario di crescita a due cifre incombe adesso la crisi economica. «Il rallentamento si sente secondo Vallotta ma per adesso solo perché sembra sia venuta meno la facilità di acquisto degli anni precedenti. La gente, insomma, ci pensa un po’ di più. Poi, di solito, si iscrive lo stesso ai nostri Villaggi».

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