TEMPO LIBERO/ IL BUSINESS DELLE PALESTRE HA FATTO
REGISTRARE, FINO ALL’ARRIVO DEL GRUPPO BRITANNICO, UN TASSO DI
CRESCITA DEL 2%, UN PANORAMA FRAMMENTATO CON MOLTE COOPERATIVE E
NON PROFIT
STEFANO CARLI
Appena entrati salta agli occhi: è tutto molto stile ‘british
corporation’: ampia accoglienza, molta luce, colori chiari, molto
personale sorridente. Dentro, tante ‘macchine’, locali ampi e
grandi poster motivazionali, con giovani sorridenti mentre fanno
movimento e sotto slogan sul fitness e la salute, fisica ma anche
psichica. Sale pesi, sale spinning, sale cyclette, tappeti e altre
diavolerie ginniche come ‘step’, ‘wave’; sale per gli allenamenti
con il personal trainer. Due piscine, una delle quali esterna, per
l’estate. E poi bar e ristorante: non incastrati in qualche angolo
della struttura, come nella maggior parte delle palestre ma
praticamente al centro, con vista sulle sale (tanto il sistema di
areazione è più che adeguato. Guai insomma a chiamarle palestre:
quelle di Virgin Active, sono Fitness Village. E non è solo una
pura questione terminologica: dietro c’è una strategia molto
articolata e ambiziosa.
«I nostri veri concorrenti spiega Luca Valotta, amministratore
delegato di Virgin Media Italia non sono tanto le altre palestre e
centri fitness, ma le grandi multisala e i parchi divertimenti: le
strutture dove le famiglie vanno per vivere assieme momenti di
relax e di divertimento, ben dotate di servizi, dalla ristorazione
ai parcheggi».
Già da qui si può intuire come l’arrivo di Virgin Active in Italia
sia stato una mezza rivoluzione. Un panorama arretrato rispetto
agli altri grandi mercati europei. Un settore iperframmentato in
una miriade di aziende di piccola dimensione, spesso familiare o
poco più; molte cooperative, una larga prevalenza di status da
organizzazioni non profit, quindi società a bassa liquidità, e poco
portate agli investimenti. L’ultima fotografia del settore risale
al 2004 e parlava di 12 mila palestre, la metà delle quali hanno
aggiunto una qualche offerta di servizi estetici, o magari anche
solo una sauna, e sono ‘evolute’ al rango di ‘centri fitness’.
Questo universo è la parte business di quello più ampio del più
generico ‘movimento fisico’ che il Censis ha stimato in Italia, al
2007, in 34 milioni di persone che fanno una qualche attività
sportiva in 95 mila centri (che comprendono però anche i campetti
delle parrocchie).
E’ su questo mercato che proprio dal 2004 si è abbattuto il
fenomeno Virgin. Come in tutte le altre iniziative partorite dalla
mente vulcanica di Richard Branson (dalla musica ai telefonini ai
viaggi spaziali) ha portato una grande innovazione in un prodotto
considerato abbastanza maturo. E ha stravolto le regole del
gioco.
Facendo un bilancio dei primi tre anni e mezzo sul mercato italiano
Valotta (che come è tipico in tutto l’impero Virgin risponde
direttamente a Branson) non deve fare altro che sciorinare numeri.
«Siamo partiti a Genova, poi Milano, Bologna, Torino, Firenze. A
Roma siamo arrivati nel 2005 e nel 2007 abbiamo aperto il Fitness
Village di Ostia, uno dei più grandi, in una struttura comunale
abbandonata che abbiamo completamente ristrutturato. A fine 2008 i
nostri ‘Village’ saranno 14. Nel 2009 ne aggiungeremo altri 8, e
arriveremo a 22. Nel 2014 l’obiettivo è di arrivare a quota 60. Il
fatturato è arrivato a 53 milioni, in linea con quello registrato
da Virgin Active nel Regno Unito, un mercato più avanzato, dove i
ricavi sono a 230 milioni di euro, ma con 72 club».
Che Virgin abbia intercettato una domanda ancora inevasa del
mercato italiano è testimoniato anche dagli indici di redditività:
il roe è sopra al 30% (Branson ha oltre il 50% della società, ma
nel capitale sono presenti anche due fondi, Permira e Bridgepoint e
l’attenzione agli aspetti finanziari è di conseguenza alta).
Un’altra particolarità di questa crescita è data dal fatto che è
avvenuta nel 99% dei casi per linee interne. Tutti i centri di
Virgin sono strutture realizzate ex novo (troppo piccole e troppo
spesso dalla contabilità incerta le possibili ‘prede’ italiane,
spiega Valotta). L’unica acquisizione finora realizzata dal 2004 è
di appena tre settimane fa: il club Francesco Conti di corso Como a
Milano.
Strutture nuove e di grandi dimensioni. Mentre nello scenario
italiano pre Virgin la dimensione media dei centri fitness (escluse
quindi le semplici palestre) era di 4 mila metri quadri, per Virgin
Active questo è il taglio minimo. «Cerchiamo localizzazioni che
siano anche in grado di ospitare parcheggi per favorire le
famiglie», spiega Valotta. E’ per questo che a Roma Virgin sta per
concludere l’avvio della realizzazione di un terzo centro al
Torrino, uno dei nuovi quartieri vicino l’Eur. E c’è anche chi ha
fatto il nome di Virgin per il progetto di un grande centro
benessere che dovrebbe sorgere sulle ceneri del vecchio Velodromo
costruito per le Olimpiadi del ’60 e abbattuto l’estate scorsa, ma
non ci sono conferme (e forse ciò dipende dal fatto che sarebbe
troppo vicino al nuovo centro del Torrino).
Dietro al successo della società di Valotta, c’è dunque un’offerta
che va al di là della pura e semplice salute fisica. Non è solo la
presenza di centri benessere nei Villaggi, con saune, bagni turchi
e cure estetiche, ma si va parecchio oltre. Una cura particolare è
stata dedicata ai pacchetti per i più piccoli. Non solo corsi di
nuoto e di ginnastica sotto la guida di istruttori specializzati,
ma abbinati, soprattutto l’estate, altre iniziative collaterali,
come i corsi di lingua, che permettono alle famiglie di lasciare i
bambini sotto tutela per l’intera mattina o per il pomeriggio. Per
gli adolescenti ogni centro è attrezzato con salette PlayStation
con le versioni più aggiornate dei più noti videogiochi (sotto il
controllo di ‘educatrici’). Per genitori, e non solo, ci sono
invece i servizi di ristorazione, affidati in outsourcing, che
cominciano ad attrarre clienti anche indipendentemente dalla
palestra: i soci, insomma, iniziano ad andare anche solo per
mangiare. Effetto di un’altra delle innovazioni portate da Virgin,
l’apertura domenicale: forse non saranno stati loro i primi in
assoluto (come per l’apertura alla mattina presto) ma sono
sicuramente quelli che attorno al ‘benessere di domenica’ hanno
costruito un pacchetto di offerte allettante. Anche perché il
prezzo di tutto questo non è certo alto: siamo sui 79 euro al mese
per l’utilizzo di tutte le strutture del centro, dalle attrezzature
alle saune e piscina e fino alle PlayStation (escluse solo le cure
personali). Un costo in sostanza in linea con il resto del mercato
e probabilmente inferiore in rapporto al complesso dei servizi
offerti ai soci. Che ad oggi sono arrivati a quota 75 mila. Un
numero che fa di Virgin Active Italia senza alcun dubbio il primo
operatore del mercato italiano. Un primato che pure si basa su una
quota di mercato di appena l’1,5% e che dice molto sulla
frammentazione italiana. «In Gran Bretagna spiega Valotta ci sono
almeno cinque grandi catene nel settore e assieme controllano oltre
il 30% del mercato».
Virgin Active Italia impiega un centinaio di persone in modo
diretto, che salgono a 1.500 con i rapporti professionali con i
trainer e con gli addetti esterni a pulizie e ristorazione: «Stiamo
facendo uscire il settore dalla zona grigia», chiosa Valotta,
aggiungendo che il prossimo obiettivo è di iniziare anche a
guardare al Sud («Stiamo analizzando alcune ipotesi, per esempio a
Catania», dice Valotta).
Su questo scenario di crescita a due cifre incombe adesso la crisi
economica. «Il rallentamento si sente secondo Vallotta ma per
adesso solo perché sembra sia venuta meno la facilità di acquisto
degli anni precedenti. La gente, insomma, ci pensa un po’ di più.
Poi, di solito, si iscrive lo stesso ai nostri
Villaggi».