«E’ in corso una
silenziosa rivoluzione dei media, della comunicazione, che nel giro
di qualche anno potrebbe cambiare completamente il panorama di
questo settore». Piero Galli, partner della società di
consulenza Bain & Company e uno dei massimi esperti italiani di
tecnologia e di media. Per spiegare la sua tesi (che è leggermente
complessa) parte da un grafico dove sono rappresentate le ore medie
settimanali che (in America) la gente dedica ai vari tipi di media.
«I dati spiega Galli sono riferiti al mercato nord americano, ma
sappiamo che le tendenze registrate là dopo un po’ arrivano anche
qui da noi».
Va detto, per essere chiari, che Internet, attraverso l’adozione
della banda larga (e larghissima) sta diventando un mezzo molto
potente. Di fatto Internet si sta trasformando in tutto il
mondo in un’immensa tv via cavo. «Il risultato continua è che
l’attenzione degli spettatori si va spostando soprattutto sul
‘mobile’, cioè sui cellulari, su Internet, e sulla tv digitale.
Risultano in calo i giornali stampati e la tv analogica. E’
vero che si parte da valori ancora molto bassi, ma la crescita è
fortissima. Ad esempio la ‘visione’ di quello che arriva attraverso
i cellulari cresce, da qui al 2020 al ritmo del 22 per cento
all’anno; Internet dell’8 per cento. E questa è la prima
rivoluzione: la gente sta cominciando a ‘guardare’ altrove rispetto
a quello che ha fatto fino a ieri».
Ma questa è solo una parte della storia. L’altra riguarda la
pubblicità. Gli investimenti pubblicitari si stanno spostando anche
loro, all’inseguimento dell’attenzione della gente. Insomma,
gli investimenti vanno là dove la gente guarda.
«Ma va segnalato che gli investimenti si stanno spostando con
una velocità maggiore rispetto agli spostamenti di attenzione da
parte della gente. E’ come se gli investitori pubblicitari
volessero precedere gli spettatori, in modo da farsi trovare sui
nuovi media quando gli spettatori arriveranno. Insomma, vanno a
mettere il cappello sulla sedia». «I numeri, almeno, dicono questo
continua Galli Fra il 2005 e il 2015 abbiamo stimato che gli
investimenti pubblicitari sui vari media (si tratta sempre di dati
americani) passino da 180 a 320 miliardi di dollari, dall’1,3
all’1,8 per cento del Pil. Con due grandi movimenti
evidentissimi. Gli investimenti sul mobile (telefonini, e altri
apparati senza fili) stanno crescendo al ritmo del 15 per cento
all’anno. E la stessa cosa sta accadendo per gli investimenti
pubblicitari su Internet. Vanno giù, invece, i giornali e la tv
analogica. In crescita gli altri media, sia pure con minore
intensità rispetto al mobile e su Internet».
In sostanza Galli ci dice varie cose. La prima (che per molti
risulterà un po’ strana) è che anche i cellulari stanno diventando
dei media. Forse non è vero che la gente li usa per guardare il
telegiornale o la telenovela e il reality, ma di sicuro attraverso
il cellulari arrivano oggi notizie brevi, previsioni del tempo e
altre cose. Ma è evidente che l’evoluzione tecnologica porta i
cellulari a essere strumenti sempre più adatti a veicolare notizie
e filmati di eventi sportivi.
Forse non si tratta ancora di usi comuni, ma è lo diventeranno
molto presto. La seconda cosa interessante che Galli ci comunica è
che l’attenzione della gente si sta spostando appunto verso
Internet e verso i cellulari. I pubblicitari addirittura, in questo
caso, precedono gli «spettatori». Il che ci fa capire che Internet
e cellulari sono i due media emergenti. Due media che, in teoria,
sono in mano a soggetti nuovi nel mondo dei media, e cioè le Telco,
le società di telecomunicazioni. Nel senso che sono loro a avere in
mano i cavi attraverso cui passa Internet e le antenne attraverso
cui si collegano i cellulari.
E questo ripropone un antico dibattito, e cioè: chi vincerà? Nel
mondo dell’informatica non è, appunto, una questione nuova. Si era
già proposta con i computer e i produttori di software (e hanno
vinto questi ultimi). Adesso il medesimo quesito ritorna: vincerà
chi fa i contenuti o chi «gestisce» i cellulari e Internet (cioè le
varie Telco)?
La risposta di Galli (ma anche di qualche operatore delle Telco) è
singolare: non vincerà nessuno dei due. E questo perché chi sa fare
i contenuti (dal telefilm al notiziario) non è detto che poi sappia
come si commercializza tutto ciò, come si raccoglie la pubblicità
(o gli abbonamenti), ecc. Chi ha in mano i media (le Telco)
ovviamente non è in grado di fare i contenuti, anche se è evidente
che qualcosa deve pur trasmettere su questi nuovi media.
Galli ha fatto addirittura una mappa di questi protagonisti. Dalla
quale si vede che i produttori di contenuti, ad esempio, sono zero
per quanto riguarda la distribuzione e il trasporto delle cose da
loro prodotte. Le Telco, invece, sono zero per quanto riguarda
l’ideazione e la produzione dei contenuti.
E’ del tutto evidente che un sistema così non regge. I content
provider non sanno poi piazzare presso il pubblico quello che
fanno, mentre chi ha il pubblico in mano (le Telco) non sa fare i
contenuti.
Allora dovrebbero vincere quelli che stanno (o che staranno in
mezzo). Nel linguaggio delle case di consulenza (e di Galli) questi
soggetti sono denominati packager. Impacchettatori, diremmo noi in
lingua corrente.
In realtà, si tratta di quelli capaci di fare un palinsesto. Cioè
di capire che cosa va trasmesso alla mattina, al pomeriggio e alla
sera. In grado di capire, in una parola, quello che può avere
successo (e quindi attirare pubblicità) e quello che invece è
destinato all’insuccesso.
Se poi si va a vedere bene chi possono essere i futuri packager si
vede che, in fondo, sono già quelli che fanno la televisione oggi.
Ne arriveranno magari degli altri. Ma è evidente che loro partono
da posizioni di vantaggio perché sanno come trattare il pubblico,
ne conoscono gli usi e le tendenze.
Insomma, la rivoluzione dei media c’è e è grande. Ma, alla fine,
quelli che la stanno provocando con le loro innovazioni
tecnologiche (le Telco, con i cellulari e l’Internet a banda larga)
non saranno i vincitori. D’altra parte, se è vero (e questo è un
po’ il succo di tutto il ragionamento) che tanto i cellulari quanto
Internet stanno diventando forme diverse di televisione, è anche
giusto che alla fine a vincere siano quelli che sanno fare i
packager, cioè la televisione, o comunque gli assemblatori e
venditori di contenuti.