In tutta Europa i
monopolisti dei vari paesi si stanno preparando al big bang della
liberalizzazione del 2011. Alcune sono state già privatizzate, in
parte o totalmente. Altre sono in ritardo. Ma tutte affilano le
armi e si preparano ad affrontare il mercato
LUCA IEZZI
La rivoluzione sarà consegnata in tempo. Quello che appare chiaro è
che il primo gennaio 2011, momento in cui in Europa il mercato
della corrispondenza sarà completamente libero, si assisterà ad una
partenza lanciata, dove tutti gli ex monopolisti statali avranno
già iniziato a occupare la posizione che vogliono mantenere nel
nuovo scenario.
La Commissione europea è convinta che il servizio postale vero e
proprio migliorerà sensibilmente: per dimostrarlo porta i casi di
Gran Bretagna, Svezia e Finlandia dove i "postini in concorrenza"
sono già una realtà. L’effetto complessivo di quest’apertura si
annuncia ben più grande perché in vista del 2011 le aziende hanno
reagito rafforzando altri tipi di servizi che ora rappresentano la
vera fonte di redditività. Piuttosto che ingaggiare con il gestore
nazionale delle lettere una guerra frontale saranno proprio questi
business, paralleli o correlati alla consegna della corrispondenza,
l’arma prescelta per sbarcare all’estero. Una trasformazione già
evidente nei mercati interni: italiani e francesi sono fortissimi
nei servizi finanziari tanto da far meglio delle banche stesse,
tedeschi e olandesi sono leader continentali nella consegna dei
pacchi con i marchi Dhl e Tnt. La Royal Mail inglese, dopo un
doloroso ridimensionamento, è diventata una società che offre i
servizi più vari (vendita di prodotti, assicurazioni, accessi
Internet) puntando sul suo network capillare. Ma se per i grandi è
tempo di conquista, per i piccoli è a rischio la sopravvivenza:
Post Danmark e la svedese Posten ad aprile hanno sottoscritto una
lettera d’intenti che dovrebbe portarli alla fusione entro la fine
del 2008. In Belgio le poste hanno scorporato l’attività dei
libretti di risparmio vendendola al gruppo creditizio Fortis.
Quello verso il mercato integrato non sarà però un cammino privo di
ostacoli: sono forti i timori di un’invasione del proprio mercato e
le accuse di "liberalizzazione asimmetriche" sono già numerose.
Come è già accaduto per l’elettricità o le autostrade, alcuni
governi sfrutteranno le aperture del mercato altrui mantenendo però
alte le barriere d’ingresso nei propri confini.
Per evitarlo, secondo gli esperti, sembrano necessari due paletti:
da un lato gli Stati dovranno disimpegnarsi dal capitale e dalla
gestione in modo da ridurre l’interesse a salvaguardare le vestigia
del monopolio; dall’altro dovranno togliere forza alle opposizioni
locali che una "Posta" troverà ogni volta che si affaccia oltre
confine. Ma soprattutto la funzione di regolatore nel mercato
privatizzato dovrà essere al di sopra di ogni sospetto permettendo
lo sviluppo di operatori alternativi e l’ingresso dei big
stranieri. Su entrambi i punti purtroppo non sembra emergere un
atteggiamento coerente tra i governi Ue.
Non mancano gli esempi virtuosi: a Madrid, per esempio, si teme
l’arrivo dei tedeschi, visto che Deutsche Post ha chiesto la
licenza per il servizio universale. Con un fatturato 200 volte
superiore a quello delle locali Correos, DP ha tutte le carte in
regola per spazzare via in poco tempo l’attuale monopolista
pubblico. Per questo il sindacato Comisiones Obreras ha chiesto al
governo di fissare rigidi paletti per contenere l’invasione. Ma
l’esecutivo guidato da José Luis Zapatero sembra essere di opinione
contraria: se il candidato a entrare nel mercato iberico ha i
requisiti fissati dalla legge, non gli sarà opposto nessun
ostacolo. Correos cerca nel frattempo di prendere le contromisure
compensando il minor flusso di lettere con un maggiore invio di
pacchi.
La Germania è il vero epicentro del terremoto. Già dal primo
gennaio Deutsche Post non è più monopolista nella corrispondenza in
patria. D’altronde lo Stato controlla meno del 50% del capitale e
solo una settimana fa la loro "PostBank" è stata venduta alla banca
privata Deutsche Bank. Passi necessari e naturali per chi ha
scommesso più di ogni altra azienda postale europea su
globalizzazione ed espansione all’estero: Dhl da fa concorrenza
persino negli Usa ai colossi della spedizione come Ups e FedEx.
Grandi ambizioni e grandi rischi: la vendita di 1300 immobili e la
chiusura di 700 uffici postali in Germania sono serviti a
controbilanciare propri gli scarsi successi negli Usa.
In un contesto del genere, dove ormai impera la logica
dell’imprenditoria privata, sorprende che proprio i tedeschi
abbiano subito la prima accusa di comportamento protezionistico.
Invece La Poste francese, interessata ad acquistare un concorrente
tedesco, ha criticato la legge che impone un salario minimo per i
lavoratori del settore.
E dire che i francesi si muovono su privatizzazione e
liberalizzazione con un decennio di ritardo rispetto ai tedeschi.
Solo in vista del 2011 si parla di una quotazione in Borsa del
1020% del capitale, ora interamente in mano pubblica. Le
indiscrezioni parlano di una valorizzazione complessiva sarebbe
intorno ai 10 miliardi, e i due miliardi che arriverebbero nelle
casse del gruppo, probabilmente attraverso una sottoscrizione
popolare e verso i dipendenti, serviranno proprio a finanziare
l’espansione europea. Nel 2007 La Poste ha realizzato un fatturato
di 20,8 miliardi e un utile netto di 943 milioni. I servizi
finanziari sono stati limitati fino al 2006, ma adesso può
distribuire prestiti e mutui, anche se ancora non può praticare i
crediti al consumo.
In tutti i paesi però c’è il rischio di un conflitto sociale
importante, visto che la posta è percepita ancora come "settore
pubblico". In Francia, Germania, Inghilterra e Italia si teme molto
la sparizione degli uffici postali nelle campagne, tradizionalmente
unica presenza pubblica di servizio. Le obiezioni di sindacati e
"nazionalisti economici" avranno molto peso se lo Stato sentirà di
mettere in pericolo il proprio ex monopolista spingendo troppo
sull’acceleratore dell’apertura. La necessità di servizi standard
su tutto il territorio nazionale e di salvaguardia del costo del
lavoro possono essere facilmente manipolate per diventare barriere
in grado di scoraggiare nuovi concorrenti.
Il problema si pone anche in Italia, dove l’ad Massimo Sarmi (vedi
intervista), ricorda come l’argomento privatizzazione non sia
nell’agenda di questo governo. Solo se Poste italiane non si
sentirà minacciata proprio nei suoi punti deboli, come la consegna
della corrispondenza, la concorrenza potrà crescere anche in Italia
a vantaggio degli utenti. «Secondo me dice Ugo Arrigo del
Dipartimento di Economia Politica dell'Università Milano Bicocca
servirebbe un’alleanza strategica con un grande operatore
internazionale forte nei recapiti». Un socio europeo peraltro
potrebbe essere il tramite per una crescita estera e permettere
l’esportazione delle eccellenze di Poste, specie nella finanza e
nei sistemi di pagamento, oltre le Alpi. Ma non sembra proprio
all’ordine del giorno.