Un numero crescente di imprese sta
avvertendo in maniera prepotente l’esigenza di disporre di propri
punti vendita. Propri o affiliati o in franchising – una
differenziazione che interessa ben poco al consumatore e di cui non
è il più delle volte a conoscenza ma con il nome della marca che
firma in maniera inequivoca l’insegna. La spiegazione più immediata
è che, a fronte dell’aumentato potere della distribuzione moderna,
l’industria di marca cerchi propri spazi per sottrarsi a condizioni
contrattuali sempre più esose. Una interpretazione corretta ma
certo non la più importante. Ci vuole una forte motivazione perché
gestire un punto vendita è un mestiere differente da produrre.
Implica competenze e professionalità diverse, notevoli investimenti
che non sempre si riesce ad ammortizzare pur riducendo
l’intermediazione commerciale. Realizzando cioè quella che,
tecnicamente, si definisce "filiera corta".
Le ragioni sono soprattutto da individuare nel profondo cambiamento
di pelle che il punto vendita sta effettuando e nelle nuove valenze
strategiche che assume. Già il termine punto vendita, ma anche
quello più comprensivo di distribuzione, è riduttivo: indicano la
loro funzione ontologica non certo tutto lo spessore dei nuovi
significati che la clientela, più o meno consapevolmente, è andata
loro attribuendo in questi anni. Lo shopping – al di là degli
acquisti di routine, e non sempre anche per questi – sta crescendo
di interesse per il consumatore. Non soltanto per individuare la
migliore offerta ai prezzi più contenuti – un trend che ha
registrato una grande accelerazione in questi anni – che implica un
crescente nomadismo tra punti vendita, ma perché lo shopping, per
molte merceologie, ha assunto una funzione ludica, evasiva, di
tempo libero estremamente coinvolgente. Lo shopping cioè si
trasforma in sho(w)pping.
Ai mutati atteggiamenti e comportamenti d’acquisto ha certamente
concorso un incisivo cambiamento da parte delle formule più
innovative della distribuzione ma anche di quella tradizionale. Che
hanno svolto quindi una sorta di funzione maieutica. Creando spazi
che, almeno virtualmente perché spesso chi gestisce il punto
vendita finisce per sprecare questa opportunità, divengono una
attualissima macchina per comunicare. Esistono ormai catene con
molte decine di esercizi per cui il solo interpretare in termini
sinergici e comunicativi il sistema delle vetrine potrebbe
costituire la più efficace delle campagne pubblicitarie. Ma è
l’interno del punto vendita con il suo lay out, accoglienza,
internal setting, displaystica, illuminazione, musica, odori a
divenire – se correttamente interpretato una suggestiva
scenografia. Il compito non è più soltanto quello di valorizzare la
merce ma di creare dei lebenswelt: i mondi vitali
dell’insegna/marca. Perché questa trova, appunto, nel punto vendita
il luogo elettivo per narrarsi, per esplicitare i propri valori, il
proprio l’universo. Una funzione che, tradizionalmente, era
interamente delegata alla pubblicità. Ora l’impresa prende
consapevolezza che, nel punto vendita, si può raccontare la marca,
i suoi valori, la sua storia, la sua identità con una particolare
trasparenza, capacità comunicativa, ricchezza di particolari,
efficacia. Succede che l’ingresso nel punto vendita assuma il
significato dell’accesso alla casa (nel senso di home) di chi vende
e, come accade per un’abitazione, questa renda immediatamente conto
dell’identità di chi l’abita. La prossimità fisica genera così
anche prossimità emozionale.
Il negozio che diviene concept store, un ipertesto che narra i
valori della marca ha ben poco da spartire con i vecchi spazi
commerciali. Ma diviene anche piattaforma relazionale riuscendo,
nei suoi casi più fortunati, a trasformare la transazione in
relazione: non è un gioco di parole ma il vero paradigma per
rapportarsi al consumatore da parte dell’impresa nella società post
moderna. Una relazione che non si genera soltanto tra insegna e
clientela ma che può anche instaurarsi tra gli stessi frequentatori
dei punti vendita. Non sempre dando luogo ad un vero rapporto
interpersonale pure può divenire qualificante la prossimità ad
individui con cui si può condividere uno stile di vita, affinità
elettive, un sistema di segni e di simboli. Le nuove tribù del
consumo hanno sempre come centro di attrazione e di riferimento un
punto vendita. Alcuni di questi – in gergo quelli che si
definiscono flagship store – sono dei templi riconosciuti dei
valori della marca, alcuni divengono dei veri e propri luoghi di
culto.