Sono ancora quelli che nel
Falò delle vanità lo scrittore Tom Wolfe definì i padroni
dell''universo. Finanzieri d'assalto come Henry Kravis che
con la sua Kkr nel 1988 orchestrò la più famosa scalata della
storia, quella sulla Rjr Nabisco, per 31,4 miliardi di dollari.
Allora sembrò che gli eccessi della finanza fossero destinati a
estinguersi con gli anni Ottanta, invece l'epoca dei grandi raid è
tornata: le quattro più grandi acquisizioni di tutti i
tempi sono state annunciate proprio quest'anno. E i fondi
di private equity hanno nel mirino prede sempre più grosse: per la
Vivendi, grande gruppo di telecomunicazioni e media, la Kkr ha
offerto una cifra vicina ai 50 miliardi.
I «barbari», come cominciano a essere considerati i grandi fondi di
private equity, sono di nuovo alle porte. Hanno comprato
fra gli altri il gigante della sanità Hca (un'operazione da 32,7
miliardi), la Toys 'r us, la Warner music e la Burger
King. E maggiori sono le operazioni, più cala la loro
popolarità. Warren Buffett li considera «i voltagabbana
dell'affare».
Che è sempre meglio del termine usato l'anno scorso da un ministro
del governo tedesco: «Locuste». Questo non ha impedito a fondi
privati di investimento e hedge fund come Texas Pacific, Thomas H.
Lee, Bain, Farallon e Citadel di accumulare un potere di acquisto
che secondo alcune stime raggiunge i 1.500 miliardi di dollari.
Un fiume di denaro che si muove fuori dalle regole di Wall
Street e che ha attratto anche i grandi nomi della
politica e del mondo imprenditoriale, che una volta
avrebbero accettato di lavorare solo ai vertici di Goldman Sachs o
Jp Morgan, i salotti buoni della finanza.
Ora invece Jack Welch, ex amministratore delegato della General
Electric, è partner della Clayton, Dubilier & Rice, che insieme
alla Carlyle e alla Merrill Lynch ha comprato lo scorso dicembre la
Hertz dalla Ford: 11 mesi dopo i tre gruppi stanno per triplicare
il loro investimento iniziale con un collocamento in borsa che
dovrebbe raccogliere 19 miliardi circa.
Perfino il «no global» Bono, cantante degli U2, ha formato
un fondo di private equity per comprare la casa editrice del
mensile Forbes. Mentre Lou Gerstner, che per anni
ha guidato la Ibm, capeggia il board del gruppo Carlyle, dove siede
anche Arthur Levitt, ex presidente della Sec (che controlla i
mercati), mentre l'ex presidente George Bush e l'ex segretario di
Stato James Baker si sono dimessi dalla Carlyle per spegnere i
sospetti nati da una concentrazione di poteri tanto forte.
Nei fondi di private equity lavorano anche tre ex ministri
del Tesoro americano. A Paul O'Neill, ex consulente della
Blackstone, si sono uniti negli ultimi giorni Larry Summers, che
sarà direttore della De Shaw, e John Snow che è diventato chairman
della Cerberus. Uno dei compiti più importanti che avranno gli ex
politici sarà combattere le battaglie legali in arrivo.
Il ministero del Tesoro americano si è infatti messo a capo di una
squadra che sta esaminando l'impatto che i fondi di private equity
hanno sul mercato finanziario. E mentre la Sec ha avviato
un'indagine su possibili casi di insider trading, al dipartimento
della Giustizia potrebbe partire un'inchiesta su possibili
violazioni delle leggi antitrust.
Le inchieste possono cambiare il destino della finanza
internazionale. Sono infatti i rendimenti non proprio
esaltanti delle aziende quotate a Wall Street che hanno portato i
grandi investitori, compresi i fondi pensione americani, a
riversare denaro nei fondi di private equity.
Non dovendo presentare risultati
trimestrali i fondi possono permettersi di ristrutturare con calma
le aziende prima di rivenderle o collocarle sul mercato. «Spesso le
aziende vengono tenute dai fondi per anni» spiega a
Panorama Josh Lerner, che si occupa di private equity alla
business school di Harvard.
«A differenza di quello che accadeva negli anni Ottanta le scalate
sono per lo più amichevoli, in accordo con il management
dell'azienda, che non viene eliminato come succedeva un tempo».
Questo non significa che non avvengano operazioni molto
spregiudicate. Spesso i fondi di private equity usano
compensi e dividendi per recuperare i soldi pagati nell'acquisto di
un'azienda.
Neppure un anno dopo avere preso il controllo della Intelsat global
services i fondi si sono ripagati con 576 milioni in dividendi e
compensi vari, contro i 513 milioni pagati per l'acquisto. E questo
mentre il debito dell'azienda raddoppiava, a 4,75 miliardi, e il
personale veniva ridotto del 20 per cento «per ottimizzare margini
e cash flow».
Altre volte i fondi si fanno pagare una consulenza dall'azienda che
hanno appena acquistato: il gruppo chimico Celanese ha pagato al
fondo Blackstone circa 45 milioni, più del doppio di quanto ha
versato ai suoi consulenti di Goldman Sachs. In tutto ciò
non c'è niente di illegale. Ma diverso potrebbe essere il
discorso per i «club deal», operazioni condotte da più fondi in
collaborazione, pratica sempre più comune date le dimensioni
crescenti delle prede dei raid.
Il sospetto degli inquirenti americani è che i club siano in realtà
cartelli creati per tenere bassi i prezzi: raramente si registrano
infatti offerte concorrenti nelle grandi operazioni. Quando un
consorzio di fondi guidato dalla Blackstone ha acquisito per 17,6
miliardi il gruppo di semiconduttori Freescale, per esempio, non ha
incontrato opposizione dalla Kkr.
Il favore è stato ricambiato in occasione dell'acquisizione del
gruppo ospedaliero Hca: sebbene avesse studiato la possibilità di
comprarlo la Blackstone non ha combattuto contro la Kkr, ma ha
cercato più tardi di prendersi una fetta dell'azienda.
Commenta Steven Kaplan, che insegna finanza alla University of
Chicago: «Siamo entrati in un periodo di eccessi che
ricorda la fine degli anni Novanta». Ma pochi sono
disposti a credere che questa nuova era stia per finire, sia pure
per mano dei magistrati.
Anzi, i guadagni sono tanto grandi che anche le grandi
banche di Wall Street ne vogliono una fetta. Lehman
Brothers e Bears Sterns hanno annunciato di avere raccolto oltre 4
miliardi per un fondo dedicato alle acquisizioni, il Credit Suisse
ha raccolto 2,1 miliardi, mentre la Morgan Stanley spera di
raccogliere 5 miliardi. Per tutti loro la grande corsa all'oro è
appena cominciata.
Fonte: Marco De Martino, Panorama